Dite la verità, quante volte vi è capitato, dopo la visione di un film, di sentire o pronunciare l’abusatissima frase “era meglio il libro”?
In passato ho interpretato questa affermazione come una volontà di mostrare la propria superiorità intellettuale, della serie: “Sì ok, il film è alla portata di tutti ma io sono molto più figo perché ho letto il libro”. Questa, però, è una visione un po’ riduttiva, lo ammetto.
Il problema è che, spesso, trovandoci davanti all’adattamento filmico di un’opera letteraria, restiamo delusi di non trovare la stessa profondità, le stesse emozioni, quel senso di trepidante e intima scoperta che accompagna la lettura di un romanzo. Ma questo succede perché stiamo parlando di due mondi completamente differenti. Non ci credete? Ve lo dimostro, o almeno… ci provo!
La prima grande differenza sta proprio in noi, nel pubblico. Se ci pensate, il romanzo ci porta a immaginare, mentre il film ha il compito di mostrare, stimolando nel cervello due reazioni completamente diverse. Il libro, inoltre, ha una dimensione di lettura più personale e intima mentre il film nasce con lo scopo di essere condiviso in una sala, da un pubblico che si lascia trasportare dalle medesime emozioni, come passeggeri di una giostra a un parco divertimenti.
Infine, e qui arrivo alla differenza più importante, la scrittura di un film segue regole e dinamiche molto diverse rispetto al romanzo.
Da sceneggiatore di professione e sporadico autore di romanzi, mentirei se vi dicessi che scrivere un film o un libro è la stessa cosa.
Ok, non ho mai lavorato all’adattamento di un romanzo per il cinema, ma conosco bene i due linguaggi nella loro complessa diversità. Sono due pianeti distinti che, pur condividendo certe dinamiche narrative, lo fanno utilizzando mezzi diversi.
Non mi soffermo sull’ABC della scrittura, su come si progetta una storia, su tutto il lavoro di preparazione necessario a scrivere la prima parola su un foglio bianco; quello fa parte del mestiere di storyteller. In entrambi i casi, che sia libro o film, la preparazione è fondamentale e, a meno che uno non stia scrivendo un’opera in stream of consciousness senza una trama e con una sola voce narrante (Dio ce ne scampi) prima di mettersi davanti al computer a inanellare parole, va fatto un grandissimo lavoro di concezione e pianificazione.
A parte questo, la sceneggiatura si differenzia dal romanzo perché è un tipo di scrittura molto più tecnica e piena di regole stringenti. La prima di queste è scolpita nelle tavole sacre della cinematografia dall’alba dei tempi: “Show, don’t tell”. Mostra, non dire.
Il film deve vivere di una vita propria svincolata dalla parola. Nel romanzo, invece, la parola è tutto.
Nel libro ogni cosa è scritta nero su bianco, l’autore può immedesimarsi in ognuno dei personaggi come narratore onnisciente, sviscerare la parte più intima di ogni carattere sulla pagina, portando in emersione i pensieri più reconditi. In un film, se un personaggio è costretto a spiegare al pubblico come si sente… beh, forse gli sceneggiatori hanno toppato qualcosa! Certo, esiste sempre il comodo escamotage della voce narrante, ma va dosato bene e può diventare pesante o stucchevole.
Se analizziamo la sceneggiatura nelle sue componenti base, tutto si riduce a due elementi: azione e battute. Stop. Questi sono gli unici strumenti a disposizione di chi scrive; tutto il resto va mostrato nel sottotesto, nel non detto, nella sospensione che si fa veicolo di emozione, anche attraverso il corpo degli interpreti, attraverso i silenzi. Per questo è così importante la figura del regista!
A questa prima “difficoltà”, si aggiunge un problema di durata.
Un film, se supera le due ore e mezza, diventa una mattonata (a parte “Balla coi Lupi” e la Trilogia de “Il Signore degli Anelli” eheh!)
Tralasciando i gusti personali, mediamente un lungometraggio dura sui 120 minuti. Ogni scena deve avere un fuoco e un senso che faccia sempre evolvere la storia, anche perché ogni scena costa soldi alla produzione e non ci si può permettere di spargere qua e là sequenze inutili o di approfondimento che, nella maggior parte dei casi, verranno tagliate ancora prima di iniziare a girare.
Certo, anche nei romanzi, soprattutto oggigiorno, c’è un limite di pagine; gli editori non vogliono pubblicare libri lunghissimi perché i lettori ne vengono scoraggiati (l’ho imparato a mie spese), tuttavia, c’è sempre spazio per dire qualcosa in più rispetto a un film; un pensiero, una piccola descrizione capace di dare al lettore un dettaglio importante senza per forza interrompere l’azione.
Nella sceneggiatura, una pagina equivale più o meno a un minuto, quindi non si può andare da un produttore con un copione di 240 pagine e dire “tranquillo, non dura 4 ore, è che ci sono un sacco di didascalie!”
La sceneggiatura deve avere uno stile rapido, asciutto, le battute devono essere incalzanti e avere ritmo, tutto ciò che viene scritto deve essere finalizzato a una messa in scena efficace, anche a discapito del contenuto. Non avete idea di quante volte sento parlare a sproposito di “Buchi nella sceneggiatura” da persone che si riferiscono in realtà a una mancata spiegazione o a un salto temporale. Il film non ha il compito di spiegare tutto, anzi, deve mostrare l’essenziale per far procedere la storia. Con “buco” si intende un errore nel meccanismo della trama, una motivazione che non sta in piedi, una reazione non motivata o frettolosa, non il fatto che non ti ho fatto vedere dove il mio protagonista ha preso il drink che ha in mano; al massimo questo è un errore di continuità ma non mi addentro nell’argomento perché poi diventa tutto tedio.
Cerco di concludere andando a toccare il punto più importante: la sceneggiatura segue una struttura ben precisa che definirei quasi rigida.
A differenza del romanzo, che può fluire in modo più variegato, assecondando i tempi del racconto con maggiori dilatazioni, quasi tutti i film sono costruiti sulla base di uno schema in 3 atti, con un primo atto che dura tra i 15 e i 25 minuti, un secondo che copre i successivi 50 minuti, e un terzo atto di epilogo che, solitamente, non dura più di 20 minuti. Ogni atto, poi, è suddiviso in sottosezioni che sviluppano la trama seguendo twist e turning point ben definiti, come l’evento scatenante (o chiamata dell’eroe), il midpoint, il punto di morte ecc. Certo, ci sono film che giocano di anti-struttura ma, a meno che non siate Tarantino, ignorare la scaletta classica porta quasi sempre a ottenere un film traballante e un po’ incasinato (altra lezione imparata a mie spese).
Comunque, se non credete a me, leggetevi “Save the Cat” di Blake Snyde che si è messo lì a “smontare” uno per uno i film più famosi di sempre riuscendo a isolare una struttura che risulta compatibile con il 99% dei lungometraggi.
E qui voi vi chiederete: “Quindi gli sceneggiatori scrivono lo stesso film “over and over again”, cambiando i personaggi e le situazioni dentro lo stesso schema?” Assolutamente no.
Immaginate gli sceneggiatori come degli sciatori che gareggiano seguendo lo stesso tracciato di porte sulla pista. Ti indica la strada fino al traguardo, ok, ma bisogna saper sciare bene per arrivare in fondo.
E qui arriva un’altra domanda che mi sono sentito rivolgere spesso: “Ma quindi scrivere sceneggiature è noioso?”
Allora, no. Se si ama scrivere, ma il romanzo è più divertente.
Tornando alla metafora dello sci (scusate ma sono cresciuto in montagna) scrivere un romanzo è come farsi una sciata su una pista libera. Scrivere una sceneggiatura è come fare una gara su un tracciato pieno di paletti e buche, con l’allenatore/produttore che ti cronometra e ti tiene d’occhio.
La maggior parte delle volte, infatti, anche le sceneggiature si scrivono in squadra, componendo una writers’ room che metta assieme un autore forte sulla struttura, un altro bravo nei dialoghi, e un terzo che magari ha una mente più “registica”, non molto diversamente da quanto accada nei team agonistici.
Comunque, dopo tutte ‘ste metafore sportive, tecnicismi e inglesismi più o meno leciti, torno alla domanda iniziale: è meglio il libro o il film? E chi cavolo lo sa?
Esistono film belli o brutti, libri buoni o cattivi. Entrambi vanno valutati come versioni alternative della stessa storia, non come un’estensione uno dell’altro.
Sono due opere distinte che si presentano al pubblico in forme e linguaggi diversi.
Ci sono tanti libri che restano superiori ai loro adattamenti cinematografici, ma esistono film che hanno superato di gran lunga il romanzo da cui sono tratti. Uno su tutti? Fight Club.
La pellicola di David Fincher spacca mentre il libro di Palahniuk… meh!
E voi che ne pensate? Secondo voi c’è un film che ha superato il libro o siete membri del club “sempre meglio il libro”? Fatecelo sapere nei commenti!
Giacomo Berdini
Scrittore, sceneggiatore